DALL’ITALIA ALL’INDONESIA, UN “WORLD EXCHANGE”

Giulio ha partecipato a una Study Visit in Indonesia organizzata da Associazione Kora e Initiative et Développement Citoyen e ospitata da GREAT Indonesia dal 17 agosto al 17 settembre 2017, nell’ambito del progetto World Exchange finanziato dal programma Erasmus+. Tra gli obiettivi della Study Visit, lo scambio di metodi per l’organizzazione di progetti con i giovani e la preparazione e animazione dello scambio internazionale “Our Culture”.

Questa è la sua testimonianza!

Premessa: era dal primo anno di specialistica che volevo andare in Indonesia. Volevo pure fare domanda per una borsa di studio di tipo tre mesi, per andare a studiare l’arte, la musica e la cultura indonesiane – che sono fighissime.

Salto spaziotemporale: 2 anni dopo la laurea e varie esperienze, parto per uno SVE, Servizio Volontario Europeo, in Francia. Così entro in contatto con persone e organizzazioni che realizzano progetti strabelli, tipo quello che sto per descrivervi.

In sintesi, World Exchange è un progetto che fa incontrare 6 no profit (3 europee e 3 asiatiche) per scambiarsi metodi su come organizzare progetti per i giovani, sul modello degli scambi internazionali Erasmus+, o dei workcamps.

Per scambiarsi questi metodi, ovviamente non è che facciamo degli skype o ci inviamo letterine: ci incontriamo, pianifichiamo dei progetti da gestire insieme e durante questi progetti formiamo dei giovani a lavorare con i giovani. Tipo me, che avevo un po’ di esperienza negli scambi e nei progetti Erasmus+ e volevo imparare di più.

Partiamo io e la mia compagna di viaggio Julia, con la I (non vi dico i casini quando dovevamo presentarci: “Giulio e Julia”, diventavano nel migliore dei casi “Julio e Giulia”).

Ci viene a prendere in aeroporto Ben, project manager di GREAT, l’organizzazione indonesiana che ci ospita. Dalla macchina, nel traffico, vediamo una quantità di motorini piuttosto scandalosa, ognuno con un numero di persone sopra che varia da 1 a 4.

Arriviamo all’ufficio/quartier generale/casa di GREAT, a Semarang, ridente città della regione di Giava Centrale, sull’isola di? Giava, esatto.

La stanza è una figata, le scale per arrivarci un film di Indiana Jones.

Il giorno dopo partiamo subito per il primo workcamp in un’altra cittadina, Blora, a un paio d’ore di macchina. Il workcamp è sulla lettura, quindi io e Julia ci prepariamo un powerpoint inspirational per sensibilizzare i giovani studenti indonesiani all’importanza della lettura.

Cercherò di farvi capire cosa sono stati questi primi 3 giorni in questo modo: prendete una tonnellata di caleidoscopi e buttateli in un tornado, poi saltateci dentro. E’ stato un tuffo a bomba nella cultura indonesiana, siamo stati accolti in una famiglia locale (mitici Gundala!), fatto volontariato con i bambini guidati dalla splendida group leader Dian, visitato posti magnifici, assistito a concerti di musica tradizionale, mangiato cibo tipico, partecipato a carnevali e feste religiose, siamo stati scambiati per esperti di ingegneria rinnovabile, e una mattina ci siamo svegliati alle 5 per andare a fare ginnastica con gli abitanti del quartiere al ritmo delle hit giavanesi più in voga.

Tornati a Semarang, andiamo a visitare il posto che avrebbe accolto lo scambio internazionale, facciamo varie riunioni per ultimare i dettagli e dividerci le attività, e beh nel tempo libero ovviamente ci diamo un’occhiata intorno.

Intanto. Il cibo in Indonesia è buonissimo. E cheappissimo. Ed è molto comune andare a mangiare in uno dei bugigattoli lungo le strade, che servono i piatti tipici (riso fritto con carne, pesce, verdure, noodles, fritti vari, tempeh, frutta) a – ve lo giuro – meno del costo di un caffè in Italia.

I posti: mozzafiato. Da Semarang siamo andati a Yogjakarta, la capitale culturale di Giava Centrale, ci siamo sparati uno spettacolo di teatro delle ombre con orchestra gamelan dal vivo, abbiamo noleggiato una motoretta (7 euro al giorno e un’insolazione) e siamo andati in spiaggia e al complesso di templi di Prambanan. Queste le nostre facce dopo 4 ore di guida sotto il sole tropicale:

Questo invece lo spettacolo di teatro delle ombre:

Ma anche a Semarang c’erano vari posti appetitosi, primo tra tutti il Rainbow Village, ex quartiere povero che è stato interamente ridipinto e valorizzato da una schiera di artisti e è diventato un’attrazione turistica:

Ma veniamo allo scambio. Durava una settimana e coinvolgeva 24 giovani da Indonesia, Malesia e Cambogia. Il tema era la cultura, nel senso di: cosa possiamo fare per valorizzare le nostre tradizioni e fare in modo che non vadano perdute?

Noi avevamo preparato delle sessioni per far riflettere i partecipanti sulle cultura e le tradizioni (giochi di ruolo, visite, discussioni, dibattiti), e ogni gruppo ha preparato laboratori di tradizioni locali del loro Paese, come un’arte marziale indonesiana, la creazione di manufatti in foglie di banane, o l’utilizzo della krama, una sciarpa che in Cambogia usano come:

  1. sciarpa
  2. accessorio fashion
  3. copricapo per proteggersi dal sole
  4. fazzoletto inumidito per proteggersi dal caldo
  5. asciugamano per asciugare il sudore
  6. busta della spesa
  7. panno per raccogliere le verdure e la frutta
  8. pareo

e chi più ne ha più ne metta.

Nel corso del progetto, il tema dello scambio è… diciamo leggermente cambiato. Perché alcune tradizioni o valori delle generazioni precedenti alla nostra, tanto in Europa come nel Sud Est Asiatico, ormai sono antiquati, e quindi i partecipanti hanno potuto esprimere le loro criticità grazie alla discussione e all’incontro con gli altri. Il mio personale e positivo shock culturale è stato nel vedere l’apertura mentale e la curiosità dei giovani del Sud Est Asiatico nell’affrontare temi delicati, come la parità di genere tra uomini e donne, i diritti LGBT, la messa in discussione dei valori religiosi, per esempio sul matrimonio o sull’autorità dei genitori.

Ora sarebbe bello finire questa testimonianza con una frase a effetto, qualcosa che apre il cuore e che invita all’azione, che valorizza i progetti Erasmus+ che danno l’opportunità di imparare e di aprirsi la mente a tutti, anche a giovani che provengono da contesti svantaggiati (allo scambio c’era un ragazzo di 20 anni che non era mai uscito dal suo villaggio!).

Ma è impossibile trasmettere tutte le emozioni provate in questo mese in Indonesia e racchiuderle in un paragrafo, quindi vi lascerò solo col nome dello scambio, “Our Culture”, per farvi magari riflettere sul fatto che siamo noi a forgiare la cultura che abitiamo, e allora stiamoci attenti e divertiamoci a farlo, perché la nostra cultura può intrecciarsi ad altre, adattarsi a tempi e persone, aprirsi e migliorare la vita di una comunità…. diventando una cultura aperta a tutti.

Our culture.

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